Ma cosa si intende, più precisamente, per Dop e Igp? Entrambi sono marchi di qualità riconosciuti dall’Unione Europea su richiesta dei Paesi membri e tutelati da tentativi di contraffazione. Dop significa “denominazione di origine protetta” mentre Igp è l’acronimo di “indicazione geografica protetta”.
A una prima impressione la differenza può sembrare minima, ma è sostanziale: le Dop devono essere fatte interamente nell’area geografica indicata dal disciplinare, cioè il testo che stabilisce come dev’essere realizzato il prodotto fino al più piccolo dettaglio. Le materie prime, la loro trasformazione, i processi produttivi: in una Dop niente di tutto ciò può provenire o avvenire al di fuori di un’area ben delimitata. Queste aree possono essere estese (il Parmigiano reggiano ad esempio può essere realizzato in 5 province) o più ristrette come nel caso dello zafferano de L’Aquila, che può essere raccolto e confezionato solo in pochissimi borghi.
La sostanza è: quella tipicità può essere prodotta solo in quel territorio. Chiunque può provare a riprodurre un prosciutto o un formaggio tipico, l’importante è non tenti di imitare la denominazione originale.
Nei prodotti a marchio Igp basta che una sola fase del processo produttivo avvenga nell’area descritta dal disciplinare. È il caso, ad esempio, dello Speck Alto Adige: la carne può provenire da suini di tutta Europa. A rendere unica la Igp sono i processi di stagionatura e affumicatura. A margine ci sono anche i prodotti Stg (specialità tradizionale garantita) in cui il livello di tutela è però molto più basso. In Italia solo pizza napoletana e mozzarella si fregiano di questo marchio che però è semi-sconosciuto dal grande pubblico.
Per l’Italia il comparto del cibo certificato ha un notevole impatto economico: il valore dell’export delle Dop e delle Igp è di 2,8 miliardi di euro, con Germania e Stati Uniti come principali mercati di sbocco. Nel 2014 il valore di tutti i prodotti tipici Dop e Igp al consumo è stato di 13,2 miliardi di euro.
Cifre così elevate ingolosiscono anche i produttori meno onesti. Secondo Euipo, l’ufficio Ue per la proprietà intellettuale, i falsi prodotti Top e Igp venduti in tutto il mondo fanno perdere all’Italia 680 milioni di euro e all’Europa 4,3 miliardi. La contraffazione può assumere diverse forme: c’è chi riproduce il logo Dop o Igp in etichetta, chi chiama “Parmigiano”, “Pecorino romano” o “Prosciutto di Parma” formaggi e prosciutti realizzati da tutt’altra parte e con altri metodi, chi imita goffamente i nomi italiani ingannando la clientela meno esperta. L’ultima “perla” viene dal Regno Unito, dove una catena di supermercati ha messo in vendita il Tè al Prosecco. Una tisana – analcolica – venduta al costo di 1,89 sterline per quindici bustine. La notizia ha fatto infuriare il consorzio del Prosecco, che ne ha chiesto l’immediato ritiro dal mercato.
I prodotti certificati infatti godono di una tutela internazionale e in caso di contraffazione le autorità locali sono obbligate a intervenire.
Una fase della marchiatura del prosciutto crudo di Parma. Fotografia di Giuseppe
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